“Donde hay mujeres, hay civilización.”
Isabel Allende
È giunto il momento di descrivere un anno meraviglioso: le emozioni, le sensazioni e i ricordi che lo accompagnano scorrono velocemente nella mia mente. Un anno che sembra impossibile sia già passato.
Un anno fa, ho scelto di fare il servizio civile. Ero stufa di lavorare in un ufficio, volevo lavorare con, o meglio, per le persone. Ho scelto di fare il servizio civile a Medellin, Colombia, perché mi ha subito chiamato l’attenzione il tipo di progetto che la Ong PRO.DO.C.S. proponeva. Si trattava di aiutare donne vulnerabili attraverso attività come formazione, microimprese e inserimento lavorativo. Infatti, alle donne di Medellin, per lo scarso livello di istruzione, rimane solo l’accesso a strategie inadeguate di sopravvivenza, rimanendo fuori dal settore formale dell’economia e non appartenendo a gruppi e organizzazioni che le possano servire da appoggio per la realizzazione del proprio lavoro.
Con PRO.DO.C.S. non si trattava di avviare forme di assistenzialismo per queste donne, ma di empowerment. Infatti, PRO.DO.C.S. non si limita a dare aiuti finanziari ma insegna come, da sole, le donne degli strati più marginali possono guadagnarsi da vivere in modo onesto. Alla base c’è l’educazione all’autosviluppo: il vero sviluppo non è sinonimo di assistenza.
Così è cominciata questa avventura, un’avventura che si è svolta nella sede del quartiere Llanaditas, comuna 8, dove si respira una bella energia nonostante le difficoltà quotidiane. In qualità di persona, prima che di volontaria, è stato molto interessante fare un tuffo in una realtà così diversa da quella italiana, stare a contatto con una popolazione di diverse età e discendenze. Ho avuto la fortuna di essere inserita come professoressa di psicologia del lavoro nel SENA, entità del governo colombiano che organizza corsi di formazione professionale, in arti e mestieri, in modo totalmente gratuito. Centinaia sono state le mie studentesse, centinaia sono state le storie che mi hanno raccontato e che ho vissuto.
Quest’anno lo definirei un anno di “immersione”. Immersione nelle vita di queste donne, che sono spesso madri “cabezas de familia”. Quasi sempre lasciate sole e mai aiutate dal loro compagno e padre dei loro figli. Spesso mi chiedevano se potevano venire in classe con i loro figli, perché non sapevano a chi lasciarli, per non perdere la mia lezione. Spesso le ripetevo che nascere donne non significa nascere con qualcosa in meno, ma con qualcosa in più, essere madri, lavoratrici e studentesse allo stesso tempo è una difficoltà, ma dalle più grandi difficoltà nascono i migliori trionfi “mientras mas grande sea la lucha, mas grande será el triunfo”. Molte si vogliono rimettere in gioco, molte vogliono iniziare il gioco della vita lavorando o studiando, grandi e meravigliose guerriere.
Non saprei come riassumere in queste pagine tutto quello che ho vissuto in questi mesi, tutto è stato importante. I primi mesi pensavo: cosa posso fare io per gli altri, cosa posso fare io per queste donne? Finalmente, con il passare del tempo, ho scoperto che chi davvero stava facendo qualcosa per me erano loro …loro mi hanno cambiato e mi hanno fatto essere una persona e una donna migliore.
Non tutto quello che ho visto e vissuto è stato positivo, molte sono state anche le difficoltà e ho avuto anche dei dispiaceri. Ho avvertito la sofferenza e la rabbia di alcune donne verso di me, io che volevo aiutarle mi sono sentita rifiutata. Con il tempo ho capito che, a volte, il dolore e la rabbia più sono espressi in modo forte, più sono un richiamo di aiuto.
Molte sono state pure le cose che hanno allietato le mie giornate, per esempio sapere che anche grazie ai miei corsi di psicologia del lavoro, quasi 200 sono le donne che hanno trovato un patrocinio in un’azienda colombiana e hanno potuto migliorare il loro stile di vita.
Quello che ha rallegrato le mie giornate sono le domande intelligenti di Keissy, i dolci sorrisi di Deisy, l’allegria di Zulma, le lunghe passeggiate a Manrique con Maria, le conquiste universitarie di Lina. Ogni giorno una piccola conquista per queste donne, mi sono sentita un loro punto di riferimento.
Questa bellissima esperienza sta per finire, un pezzetto di cuore rimarrà qui a Medellin.
Un anno passa in fretta, ma quando arrivi alla fine e tiri le somme, ti rendi sempre conto che di cose ne sono state fatte tante. È stata un’esperienza unica, sia dal punto di vista umano, sia dal punto di vista professionale. Ho potuto vedere e scoprire nuove cose che non solo hanno arricchito il mio bagaglio culturale, ma hanno aperto nuovi orizzonti e nuove strade sul mio futuro professionale.
Vorrei chiudere queste poche righe, riprendendo le parole di Anna Maria Donnarumma, presidente di PRO.DO.C.S.: non abbiamo scelto dove nascere, in che famiglia vivere e a che strato sociale appartenere. Ma chi è nato in condizioni più agiate ha il dovere di aiutare chi non ha avuto questa fortuna. La nascita non è una scelta, ma il modo in cui vivere la propria vita lo è.
Elisabetta Quattrocchi, volontaria SCV Estero PRO.DO.C.S.
09 ottobre 2017