Se mi chiedessero di scegliere delle parole per descrivere la mia esperienza in Colombia, la sua terra, il suo popolo e il mio servizio, sceglierei rispettivamente: intensità, ricchezza, resilienza, apprendimento.
Ho vissuto dieci mesi di servizio civile per conto della ONG PRO.DO.C.S. –FOCSIV-nella città di Medellín, una piccola metropoli situata nel mezzo delle montagne della Valle di Aburrà. Sono stata dieci mesi ospite di una terra ricca, vergine, verde e meravigliosa, tanto simile al paradiso che a volte si stenta a credere che possa essere stata coperta, per così lungo tempo, dal rosso del sangue. Ho condiviso dieci mesi con un popolo gentile, solare e accogliente e se c’è una parola – molto in voga ultimamente – che in questi mesi mi è spesso venuta in mente lavorando con questa popolazione, è “resilienza”.
La resilienza è definita in psicologia come “la capacità di far fronte in maniera positiva ad eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinnanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità che offre la vita, senza alienare la propria identità”. Io ho visto resilienza nei disegni di Natale sui tetti di lamiera e nel colore acceso di case arrangiate con mattoni o legno delle famiglie sfollate. Resilienza é riuscire a ricominciare una nuova vita da zero, reinventarsi quando ti hanno strappato da tutto ciò che avevi, e per tutto non intendo solo le cose materiali; è un’attività montata in una comuna, gestita con amore, entusiasmo e con prospettiva di crescita; è il successo di chi ha ricevuto in dono un semplice strumento di lavoro per impaccare succhi di frutta ed ora ha un ristorante in centro. Resilienza è l’entusiasmo contagioso di Maria, la saggezza che traspare dalle mani di Berta con cui prepara arepas e spacca legna nonostante i suoi 73 anni; la forza di Veronica, la gentilezza di Sor Yolanda che ti offre sempre qualcosa anche quando non ha niente da mangiare dentro casa. Sono le mani della giovane Lina che tremano emozionate e che non riescono a firmare quel giorno in cui l’abbiamo accompagnata a iscriversi all’università per studiare e lasciare il prima possibile il mondo della prostituzione.
È il capello della NY che Santiago ha creato con del cartoncino e pitturato di blu come l’originale. È l’allegria di un popolo che non perde un’occasione per condividere, ridere e ballare.
Faccio parte di una generazione che non ha vissuto direttamente la guerra, se non per mezzo di racconti e libri di storia. Quest’anno di storie ne ho ascoltate moltissime, di chi mi ha aperto non solo la porta della propria casa ma anche della sua vita, e mai – la guerra – mi era apparsa così nitida negli occhi, fresca. Questo mi ha insegnato a relativizzare, capire cosa possiamo definire “problema” e buttare tutta la superficialità e le lamentele di cui spesso ci nutriamo.
È stato un anno intenso, in cui mi sono rapportata soprattutto con molte donne nel lavoro, nella vita, nella convivenza, nell’amicizia e per ultimo, con la donna che sono e sarò. Non mi ero mai resa conto di quanto siamo forti. Ho appreso tanto e non solo dagli altri, soprattutto dai miei limiti e dai miei errori.
Si tende sempre ad associare la parola “volontario” con il concetto di gratuità. Io riprendo la sua radice e mi rendo conto che l’elemento fondamentale in un’esperienza di servizio civile – volontario – è la forza di “volontà”. La volontà di mettersi in gioco, di viaggiare, esplorare, essere aperto e disponibile. È accendere il motore della nostra anima e metterlo al servizio degli altri.
Benvenute quindi paure, inesperienza, errori, e possibilità come questa di lasciare i propri porti sicuri per crescere, formarsi e migliorarsi. Mi sento fortunata e grata per aver potuto fare quest’esperienza, per aver potuto conoscere una realtà con i miei occhi e non per mezzo del filtro degli stereotipi, per aver sentito il Mondo un po’ più piccolo e vicino di quello che a volte ci appare.
Sono tornata innamorata non solo di una terra e del suo popolo, ma ancor di più della mia vita. Ed è sentendosi sempre nel dovere di difenderne i diritti che implica l’essere vivo, la maniera più giusta di celebrarla.
Gloria Volpe
Roma, 2 settembre 2016